Il pirata

Ore 9. Il paziente del letto 21 è sofferente. Stanotte ha chiamato le infermiere. Gli hanno dato la morfa. Dicono tutti che è un pezzo grosso della malavita siciliana. Lo dicono tutti a bassa voce, e lo dicono con una certa goduria. E’ai domiciliari. E lo dicono ancora con un certo piacere nell’espressione, deve esserci sicuramente dell’altro in quello schiocco di lingua. Andiamo a vederlo, veloce scorsa alla cartella clinica.

Ha subito una resezione del lobo superiore sinistro già 5 gg fa, ma il drenaggio è ancora molto brutto. Anzi, è orrendo, da riaprire forse.

Entriamo nella stanza con la mia Dolores d’acciaio, la specializzanda che prenderà un giorno i suoi due gatti e se ne andrà in Namibia con il nostro pirata.

Vito ha l’aspetto sofferente, ma è un pirata. Ha la pelle bruciata dal sole, un tatuaggio ad anello sull’indice, lunghi capelli bianchi e un sorriso fresco.

Gli chiediamo se ha male. Risponde chiudendo gli occhi e facendo salire lento il suo “un po’”che sbocca siciliano tra i suoi denti. In realtà respira rapidamente e ha l’aspetto tutto stropicciato di chi blocca dentro un torrente. Una donna, una infermiera del reparto di urologia al suo capezzale lo guarda con tenerezza e dice che respirerà meglio senza il suo pezzo di polmone malato. Poi ci avvicina in corridoio e ci dice di capirlo. E’un duro, non si lamenta. Ma ha tanto male. Ce lo ripete, tante volte. Come se ogni altra ripetizione fosse in fondo un modo per non dire tutto il resto. In ognuna di quelle ripetizioni io sentivo altre frasi, l’amore per il suo pirata, la gioia di averlo vicino e il rammarico di doverlo condividere con il chirurgo. E’un uomo che non si lamenta mai. Un moto di invidia ci unisce, me e la specializzanda coi gatti.

Torniamo in stanza con le siringhe. Dolores mi lascia sola e va a prendere altri materiali. Io inizio a guardarlo. Lui mi guarda e mi dice “ora dovrei essere in Africa”. Ha delle barche laggiù. Ha sempre fatto il pescatore a suo dire. Tra Namibia e Madagascar. Si pescano gamberi e altro pesce. Ha un ritmo magnetico e le sue labbra si muovono appena per mostrare la simmetria dei suoi denti bianchissimi. Mi continua a dire dell’Africa e di quanto sia bello. Torna la specializzanda e inizia le sue manovre, il bolo starter di morfa è già in circolo e poi prepara velocemente l’infusione continua, ma la vena non va granché. “E fatemelo un altro buco, dai”. Porge il braccio e mentre gli si mette un’altra via torna a parlare dell’Africa. “Ehhh ora non va poi tanto bene nemmeno laggiù.” A vedere i nostri volti catturati, gli vien voglia di parlare ancora. Dice di aver conosciuto Mandela, di averlo frequentato per 15 anni durante i quali la sua massima preferita era stata: “Ogni uomo è capitano della propria anima”. E piange come un uomo fa, con un rivolo brillante a sottolineare il suo sguardo.

Finisce il mio turno e me ne torno con in testa il pirata e uno schiocco di piacere nella lingua, assaporando il nostro prossimo incontro.

 

 


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